Flaminia Colella
LETTERATURA |
Flaminia Colella nasce a Roma nel 1996, città dove vive e lavora. Dopo gli studi classici consegue nel 2019 la laurea con lode in giurisprudenza, presso l’università Luiss Guido Carli, con specializzazione in diritto civile e un master in storia dell’arte contemporanea, presso lo stesso ateneo, nel 2021. Pubblica il suo primo libro di poesie nel 2018, dal titolo “Sul Crinale”, e molti dei suoi componimenti vengono tradotti e pubblicati su riviste italiane, inglesi e spagnole. Nel 2020 suoi testi in prosa compaiono su diverse testate giornalistiche, tra cui il settimanale “Panorama”. Nel maggio dello stesso anno vede la luce “La voce del fuoco”. Il libro esce per Cantacanta editore all’interno della collana di poesia “I passatori”, curata e diretta da Davide Rondoni, poeta e scrittore al fianco del quale lavora nello stesso anno per il libro d’arte “Io non ho mai scritto e nessuno è innamorato”, a cura di Fabbri Editore, nuova versione di traduzione di sessanta sonetti di William Shakespeare. “Guerrafesta” è il suo ultimo libro, edito da Cartacanta editore.
DESCRIZIONE DEL LAVORO PRESENTATO AL FESTIVAL:
Le poesie presentate al festival sono tratte dall’ultima opera dell’autrice, “Guerrafesta”, edito da Cartacanta editore nella collana curata e diretta da Davide Rondoni.
Dell’opera scrive Gianfranco Lauretano:
“Finito di leggere Guerrafesta, la terza opera poetica di Flaminia Colella, si rimane a lungo nell’alone luminoso e turbinoso a cui già il titolo ci introduce. Il nome composto, il neologismo ossimorico inventato dall’autrice per dar nome alla sua raccolta, non indica alternanza di due situazioni: non c’è qui avvicendamento tra il negativo della guerra e il positivo della festa, né oscillazione tra i due poli, anzi, l’immagine del pendolo è negativa: «Oscilla la notte, è un pendolo/ nella città che non cambia mai/ dalla periferia al centro le voci/ si rincorrono come in un cerchio», come la staticità, la circolarità, la ripetizione. Guerra e festa sono sincroniche, siamo sempre nell’una e nell’altra, i due dispositivi apparentemente antitetici tendono persino, in certi passaggi, a coincidere e a identificarsi. La poesia di Colella accetta l’ineluttabile compresenza di bene e male e ci mette in moto. Il lettore che l’ha seguita ne esce con la definita percezione di un movimento continuo e una ricerca instancabile: continuamente in viaggio (“questo viaggio cui vi invito”), continuamente sul punto di attraversare una soglia e partire, anche se costa fatica: «è sempre dura quando inizi/a scolpire la tua caccia” (…) La tensione dei testi riguarda infatti anche questo: la poesia porta continuamente ad allargare lo sguardo. Ne sono prova le immagini ricorrenti del lago e del falco (…). Non è una composizione artificiosa o calcolata, semmai un ascolto e forse un’esigenza del cuore, appunto. La perpetua compresenza di bene e male, di cammino e interruzione, di ferita e di gioia ha bisogno di essere abbracciata da qualcosa che tenga tutto insieme. Il canto, quindi. L’orecchio sente il ricordo dell’endecasillabo, il verso principe del nostro ritmo, ma senza schemi: echeggiano semmai da una parte le intense letture e dall’altra, appunto, l’esigenza di uno strumento con cui tentare di comporre il mondo. Anche la rima non è né disdegnata né abusata: ben venga, se può servire a fissare per un istante un momento di comprensione nel turbinio interrogativo del viaggio. Il fatto è che qui il canto è estrema tensione della corda verbale, introduzione all’altezza a cui si aspira: “Musica e preghiera”. La poesia per Flaminia Colella è la sintesi del tempo e della natura. La guerra sempre in atto in essi e la festa profonda che li sottende viene all’evidenza nella parola. Evidenza non tanto materiale, apparente, descrittiva: le immagini che ci vengono date di ciò che lo sguardo osserva sono sempre veloci, quasi fugaci, senza che ci sia consentito di perderci troppo tempo. Ciò che conta, lì dove c’è davvero la festa, è lo spirito: “Il mondo non esiste senza il fiato”.