Compagnia CollineFar
TEATRO | Lazio
Sofia Russotto nasce a Roma il 14/01/1998.
Nel 2017 si diploma presso il Liceo linguistico Tito Lucrezio Caro di Roma.
Si trasferisce a Londra e partecipa ai corsi di recitazione della scuola “Anthony Meindl Actor Workshop”.
Nel novembre 2018 viene ammessa presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” di Roma.
Negli anni dell’accademia matura la passione per la drammaturgia, cimentandosi nella scrittura di alcuni testi.
Nel 2019 scrive “Le Signorine”, che mette in scena al festival Contaminazioni al Teatro India, interpretando uno dei ruoli.
Nel 2021 scrive “Gente Spaesata”, che debutta l’anno successivo in forma di studio a Carrozzerie n.o.t (Roma), curandone la regia.
Nel novembre 2021 si diploma come attrice presso l’Accademia “Silvio D’Amico” con lo spettacolo “Hotel Goldoni” diretto da Antonio Latella.
Nel 2023 partecipa ai corsi di alta formazione di teatro danza di Arearea e “Drammaturgie” (ERT) di scrittura teatrale.
Nel febbraio 2024 lavora come dramaturg per lo studio su “Interrogatorio a Maria” di Giovanni Testori, interpretato da Maria Chiara Arrighini per il cantiere “BAT” diretto da Antonio Latella e sostenuto da AMAT.
Dal 2023 è direttrice artistica e co-fondatrice del festival “Spaccature” nato a Civita di Bagnoregio (VT).
Descrizione progetto in concorso – “Gente Spaesata”
“Il nichilismo è alle porte: da dove ci viene costui?, il più inquietante fra tutti gli ospiti?” (F. Nietzsche, frammenti postumi)
L’incapacità di proiettarsi in un futuro, di vedere i propri progetti come qualcosa di connesso ad un desiderio profondo. Quell’assistere allo scorrere della vita in terza persona senza esserne granché coinvolti.
È questa l’atmosfera in cui sono immersi i tre protagonisti di “Gente Spaesata”.
Vivono di notte perché di giorno nessuno li riconosce, nessuno ha bisogno di loro. Questo lo sanno, e non vogliono sbattere ogni giorno la faccia contro il misconoscimento della propria esistenza.
La cocaina permette loro di ricreare un mondo dove si sentano fautori del proprio destino.
La mancanza di connessione con la realtà li avvicina vorticosamente al desiderio di morte, prospettiva più seducente del costruirsi un futuro incerto in un mondo che non li comprende e che loro non comprendono.
La scena è “in vetrina”.
Come un laboratorio esposto da cui il pubblico spia ciò che avviene al suo interno.
I personaggi sono incastrati in un loop, come polli in gabbia che si ingozzano fintanto che le luci sono accese.
Sovraesporre lo spazio così come i protagonisti sono sovraesposti alla sofferenza, ad una lucidità cruda e crudele.
La frattura tra il linguaggio convenzionale della narrazione orizzontale e quello verticale e onirico diventa possibile attraverso partiture fisiche alimentate dalla ripetizione monotona e ossessiva, danze e la costruzione di “monumenti umani” per uscire dal racconto ed aprire dei varchi in cui il corpo si fa veicolo di una condizione interiore.
La musica racconta, attraverso la sua postazione privilegiata, un vero e proprio luogo, una realtà imprescindibile per gli abitanti della casa, e quindi il suo dominio sulla scena.